Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge prevede - attraverso la revisione delle norme attuative della legge 31 marzo 2000, n. 78 (decreto legislativo 5 ottobre 2000, n. 334; decreto legislativo 3 maggio 2001, n. 201; decreto legislativo 28 febbraio 2001, n. 53, regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 marzo 2001, n. 208; decreto legislativo 28 dicembre 2001, n. 477) e dei decreti del Presidente della Repubblica 24 aprile 1982, n. 335, n. 337 e n. 338 (emanati in attuazione di altrettante deleghe conferite con la legge lo aprile 1981, n. 121) - una organica sistemazione del contesto normativo concernente la progressione nelle qualifiche del personale della Polizia di Stato (oltre che dei ruoli professionali dei sanitari e del personale che espleta attività tecnico-scientifica o tecnica), nonché significativi miglioramenti rispetto a quella parte dell'ordinamento della Polizia di Stato che maggiormente risente di una mancata definizione normativa.
      È stata inoltre modificata la norma contenuta nel decreto del Presidente della Repubblica 25 ottobre 1981, n. 737, il c.d. «regolamento di disciplina», che appare di urgente e indifferibile revisione, come anche sottolineato dalle organizzazioni sindacali di polizia, che sono già intervenute, nelle opportune sedi, promuovendo l'aggiornamento del regolamento di servizio dell'Amministrazione della pubblica sicurezza, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 ottobre 1985, n. 782, attuato con il regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 163 del 2003.
      È opportuno rilevare come i recenti interventi normativi, a partire dalla legge n. 78 del 2000, non hanno minimamente

 

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risolto i gravi problemi che affliggono i lavoratori di polizia, come dimostrano le serrate e puntuali critiche che le organizzazioni sindacali della Polizia di Stato hanno avanzato; né può essere sottaciuto l'alto grado di conflittualità esistente che, negli ultimi anni, ha visto aumentare in maniera esponenziale il ricorso, da parte dei lavoratori di polizia, all'autorità giudiziaria amministrativa per segnalare situazioni di abuso e di illegittimità. Per risolvere tale situazione appare opportuno e necessario utilizzare gli strumenti che l'esperienza ha indicato come concretamente risolutivi della vicenda conflittuale. Si intende fare riferimento alle norme contenute nella legge n. 241 del 1990, che ha imposto ai processi amministrativi conseguenti termini di definizione estremamente rapidi, evitando ogni pretestuoso differimento, ovvero ingiustificato rifiuto, conseguente alle istanze di accesso. Non solo: in questa materia è di fondamentale importanza ricordare che la lentezza dei relativi ricorsi, la cui durata media è di quattro-cinque anni, costituisce già di per sè un motivo di sconfitta del cittadino-poliziotto, indipendentemente dall'esito della controversia giudiziaria.
      Con riferimento poi all'accesso, per il personale della Polizia di Stato, alle qualifiche dirigenziali è opportuna una premessa. Il legislatore aveva già previsto, all'articolo 36, primo comma, punto XIII, della legge 1o aprile 1981, n. 121, che l'accesso ai ruoli dei dirigenti della Polizia di Stato avvenisse previo superamento di un corso di formazione a cui venivano ammessi coloro che superavano un concorso interno per titoli ed esami. All'effettiva attuazione delle indicate previsioni normative doveva provvedere, attraverso una legislazione delegata, il Governo. L'idea guida della riforma era quella di formare una nuova e autorevole classe dirigente individuata attraverso criteri totalmente estranei alle logiche che sottendono gli altri metodi di promozione. Con il decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile 1982, n. 335, veniva data attuazione al citato disposto normativo che disponeva l'accesso alla dirigenza dopo il superamento di un concorso per titoli ed esami. Con il decreto-legge 19 dicembre 1984, n. 858, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 febbraio 1985, n. 19, l'Esecutivo invece proponeva, e vedeva accolto, un diverso e antitetico criterio di promozione alla qualifica dirigenziale, non già mediante lo strumento concorsuale, bensì attraverso valutazioni discrezionali della stessa pubblica amministrazione, con il sistema dello scrutinio per merito comparativo già utilizzato prima della riforma.
      I motivi di questa inversione di rotta, anche rispetto al contesto del pubblico impiego, devono pertanto essere ricercati nella necessità che i quadri dirigenti siano assolutamente conformi agli indirizzi e alle politiche espressi «dall'apparato». Infatti, l'assegnazione di incarichi rilevanti nella successiva valutazione per la progressione nella qualifica avviene attraverso scelte ampiamente discrezionali non suscettibili di contestazioni. Quindi, attraverso il sistema della valutazione comparativa, si opera una selezione che solo formalmente assume i caratteri dell'imparzialità, mentre nella sostanza emerge chiaro il ricorso al criterio di cooptazione dei funzionari secondo canoni di appartenenza più o meno dichiarati. Tali considerazioni costituiscono la sintesi obiettiva di una pluriennale esperienza applicativa della normativa che si intende modificare e che ha evidenziato, senza ombra di dubbio, le contraddizioni e i limiti ricordati. In costante aumento appare, come detto, il contenzioso giudiziario che ha opposto all'Amministrazione dell'interno valenti funzionari di polizia i quali lamentano scarsa, se non nulla, trasparenza e obiettività nella scelta dei promossi.
      Al fine di rendere effettivamente trasparente l'accesso dei funzionari della Polizia di Stato alle qualifiche apicali, si impone, quindi, la necessità di adottare un criterio che elimini qualsivoglia sospetto di parzialità nelle scelte.
      Pertanto solo sottraendo il relativo giudizio a valutazioni svolte attraverso il sistema dello scrutinio per merito comparativo
 

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è possibile realizzare un'effettiva democrazia nelle istituzioni.
      È in forza di tale ragionamento che nel pubblico impiego, prima attraverso il decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, poi con il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, il legislatore ha inteso attribuire la maggior parte dei posti disponibili nei ruoli organici dei dirigenti attraverso un concorso per esami.
      A maggior ragione, in considerazione dei fondamentali interessi dei cittadini, cui l'attività di polizia si rivolge, è necessario che tale criterio sia non solo adottato, ma ampliato per la Polizia di Stato, atteso che l'attuale riserva di posti da ricoprire mediante concorso (20 per cento) appare assolutamente esigua e non consona a far emergere una classe dirigente non solo preparata tecnicamente, ma anche autonoma da prevedibili interferenze. Nè va dimenticato, ovvero sottovalutato, che nel corso degli anni la tendenza all'effettiva trasparenza dell'azione dell'Amministrazione ha prodotto fondamentali disposizioni normative. Con la legge 7 agosto 1990, n. 241, si è voluto ancora di più offrire al cittadino la possibilità di controllare tutti gli atti della pubblica amministrazione estendendo tale azione, oltre che alla tutela dei diritti soggettivi, anche alla tutela degli interessi legittimi. Non ultima è la spinta che la giurisprudenza esercita nell'affermare, senza mezzi termini, la necessità di un'azione verificabile ed obiettiva cui la pubblica amministrazione non può sottrarsi in alcun modo.
      La presente proposta di legge quindi si muove in una duplice ottica: da una parte, realizzare un sistema effettivamente trasparente che permetta l'attribuzione della qualifica dirigenziale ai funzionari di polizia in maniera immune da qualsiasi sospetto di parzialità; dall'altra, fornire il criterio per determinare, senza automatismi o cooptazioni, una progressione nella «carriera» che tenga conto delle effettive capacità personali dei funzionari di polizia. A questo scopo, si prevede che la commissione giudicatrice del concorso sia composta esclusivamente da professori ordinari nelle materie oggetto di esame.
      In altre parole, è necessario che la valutazione dei requisiti tecnici sia affidata a un organo diverso dall'amministrazione di appartenenza al fine di salvaguardare l'autonomia di giudizio ed evitare che conoscenze, anche occasionali, intervenute nell'ambito dell'attività professionale dei candidati (essi hanno un'anzianità di servizio non inferiore a undici anni e sei mesi), possano in qualche modo avere un'influenza sul giudizio definitivo.
      La proposta di legge prevede inoltre un limite alla possibilità di sostenere l'esame in questione al fine di evitare che lo stesso assuma i connotati di un'effettiva prova selettiva.
      Si è altresì ritenuto di nessuna rilevanza professionale il corso di formazione dirigenziale. Tali corsi, infatti, così come attualmente strutturati, non svolgono alcuna effettiva attività qualificante per i funzionari che posseggono già una notevole esperienza professionale e che risultano vincitori di un concorso altamente selettivo. Sarà invece necessario, per il futuro, prevedere corsi di alta specializzazione sui temi specifici in cui i diversi funzionari concretamente operano.
      Quanto poi ai funzionari direttivi ed alle qualifiche sottordinate del personale della Polizia di Stato, è necessario modificare l'attuale sistema di progressione nella qualifica e adottare il criterio delle promozioni a ruolo aperto per merito assoluto. In tal modo, sarebbe garantito un percorso professionale realmente confacente al grado di esperienza maturata.
      Conseguentemente, non assume più alcuna rilevanza il «rapporto informativo» annuale che, pertanto, verrebbe abolito.
      Tale scelta rappresenta il superamento di valutazioni soggettive non suscettibili di contestazioni a causa della stessa struttura delle note di qualifica formulate in termini numerici e attraverso giudizi stereotipati.
      È quindi necessario formulare giudizi sui dipendenti della Polizia di Stato collegati ad aspetti obiettivi e rigorosi, quali quelli delle sanzioni disciplinari e penali in ossequio ai princìpi stabiliti dalla legge 11 luglio 1980, n. 312.
 

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      Si è poi modificato l'articolo 9 del decreto del Presidente della Repubblica 25 ottobre 1981, n. 737, abrogando alcune disposizioni in esso contenute, perché appare eccessivo mantenere la situazione di sospensione dall'impiego nei confronti di chi ha visto riconoscere la propria estraneità al fatto penale addebitato. Ciò chiaramente non preclude il successivo esercizio dell'azione disciplinare nei termini già previsti dalla normativa vigente.
      Allo scopo di attuare una completa omogeneità nell'intero sistema, è necessario adeguare ai princìpi affermati anche le conseguenti progressioni di carriera per il personale direttivo dei ruoli tecnici e per quello appartenente ai ruoli sanitari, provvedendo ad equiparare il numero delle relative qualifiche direttive a quelle previste per il personale della Polizia di Stato.
      Infine, si è inteso provvedere a razionalizzare la relazione tra procedimento penale e procedimento disciplinare. Gli interventi normativi che si sono succeduti nel tempo hanno evidenziato contraddizioni che l'interpretazione dell'Amministrazione ha ancora più accentuato. In altre parole, solo l'avvio di un procedimento penale è ritenuto dall'Amministrazione motivo valido per sospendere un procedimento disciplinare basato sugli stessi fatti. Tale tesi comporta, stante la diversità dei tempi previsti per i diversi procedimenti citati, possibili e insanabili contraddizioni tra le decisioni penali e quelle amministrative che la modifica legislativa proposta intende eliminare.
 

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